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Lacerba certificata iso 9001
Fare carriera nel digitale

La promessa di continuare ad innovarsi

by Edoardo Montesano 21 Marzo 2021
by Edoardo Montesano

Cosa significa essere certificati ISO 9001, perché è così importante per noi avere questa certificazione e come abbiamo fatto per prenderla

In questo articolo riporto una chiacchierata molto interessante che ho fatto con la mia collega Barbara, in merito alla certificazione ISO 9001:2015. 

Da profano avevo solo una vaga idea di cosa fosse la certificazione ISO 9001.

 “La qualità di Lacerba è certificata da Bureau Veritas ISO 9001:2015 per progettazione, produzione ed erogazione di corsi di formazione e-learning su materie digitali e di innovazione.” 

Questa è la frase che trovi in fondo al nostro sito e se per te è sufficiente allora tanto basta.

Ma ottenere una certificazione ISO 9001 ha delle implicazioni strategiche e operative per un’azienda. Come anche io ho scoperto, è qualcosa che ti porta a fare un’analisi di chi sei, a capire cosa ti manca e a porti degli obiettivi per il futuro. 

Barbara, instructional designer e business developer qui a Lacerba, ha curato il processo attraverso cui abbiamo ottenuto la certificazione ISO 9001. 

Ti riporto in questo articolo cosa mi ha raccontato in merito e perché questa certificazione non è solo un attestato di qualità, ma una promessa di continuare a migliorarsi e innovarsi. 

Spero che l’articolo ti ti sia utile e se alla fine vuoi lasciarci un commento ci fa sempre piacere. Buona lettura! 

Ma cos’è una certificazione ISO 9001? 

Ci sono infinite ISO, con diverse finalità. Nel caso della ISO 9001:2015, si tratta di una certificazione che attesta che un’azienda metta in atto tutti i sistemi di controllo necessari a garantire la qualità del suo prodotto, in ogni fase del processo di sviluppo. 

Ma la ISO 9001 ha anche un altro obiettivo: quello di far sì che l’azienda sia orientata al miglioramento continuo. Non lo sapevo, ma la certificazione deve essere rinnovata ogni anno e per conseguirla e mantenerla serve impostare un piano di crescita e miglioramento.

Bisogna, dunque, porsi di anno in anno degli obiettivi formali, che devono essere rispettati affinché la certificazione venga rinnovata. 

Questo è forse l’elemento che più ci intriga della ISO 9001 e che più rispecchia la nostra cultura a Lacerba. Il tema del miglioramento e dell’innovazione continua ci sta molto a cuore ed è una spinta che sentiamo ogni giorno nel nostro lavoro. 

Cosa abbiamo fatto per ottenere la ISO 9001?

Lato prodotto, i nostri corsi, abbiamo dovuto dare dimostrazione di come avviene la progettazione e lo sviluppo di un contenuto formativo a Lacerba. 

Per farlo abbiamo preso una delle nostre masterclass e ne abbiamo ripercorso l’intero processo di realizzazione: dalla prima mail col docente, alla messa a terra della scaletta, le successive revisioni del programma, per passare poi alle fasi di registrazione, editing e montaggio, fino alla messa sul mercato, la comunicazione e la trasparenza con il cliente. 

Per ognuno di questi diversi momenti abbiamo dovuto darne prova tangibile, ovviamente. 

Un altro aspetto importante è stato quello di dare evidenza della professionalità e competenza dei nostri docenti, fornendo i Curriculum Vitae e i riferimenti dei loro lavori e progetti di maggior rilievo. 

Lato obiettivi futuri da conseguire, è stato realizzato ad hoc un organigramma completo di Lacerba ed è stata fatta una mappatura delle nostre competenze, di quelle che abbiamo e di quelle che ancora ci mancano. A partire da questa autoanalisi abbiamo impostato degli obiettivi di miglioramento, che dovranno essere conseguiti entro il prossimo anno.  

Insomma… È stato un lavoro impegnativo! 

Qualche consiglio per prendere la certificazione

Non voglio però scoraggiarti, se per caso stai leggendo questo articolo con l’intento di ottenere anche tu la certificazione ISO 9001. 

È vero, si tratta di un processo complesso, ma è davvero un percorso formativo, da cui tu e la tua azienda uscirete più maturi e consapevoli.

Senza contare che la parte più difficile è ottenerla la prima volta, mentre per gli anni successivi il tutto dovrebbe essere un pò più snello. 

I corsi che ti consigliamo

Se il tema del miglioramento e dell’innovazione ti sta a cuore, su Lacerba abbiamo alcuni corsi che hanno ispirato anche a noi, come team, al miglioramento continuo, aiutandoci ad organizzarci meglio, allenare il nostro mindset e generare innovazione in squadra. 

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21 Marzo 2021 0 commenti
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Creare business

Cosa sono e come costruire le Buyer Personas

by Marco Trezzi 1 Luglio 2020
by Marco Trezzi

Scopri come costruire le tue Buyer Personas per comunicare efficacemente con il tuo target.

Se Pirandello fosse stato un marketer, sono sicuro che una delle prime cose che avrebbe fatto sarebbe stata quella di conoscere le persone a cui stava vendendo le sue opere. Abile intenditore delle diverse sfaccettature dell’essere umano, Pirandello ha sempre prestato attenzione ai molteplici comportamenti umani. In Uno, Nessuno, Centomila, per esempio, romanza quanto l’uomo si adatti a diversi ambienti indossando una maschera tutti i giorni. Attraverso quella maschera, riusciamo a conoscere la persona che la indossa e che abbiamo di fronte.

Ma cosa c’entra tutto questo con le Buyer Personas? 

“Persona” in latino significa letteralmente “maschera d’attore” ed indica il ruolo che viene recitato dall’uomo durante la vita di tutti i giorni.

Pirandello avrebbe quindi capito fin da subito (amava l’inglese) che con Buyer Persona si intende la raffigurazione di un utente, di un possibile “Attore Acquirente”, attraverso l’aggregazione di dati qualitativi reperiti in diversi contesti, che incarnano un segmento del nostro pubblico di riferimento.

Altro non si tratta che la rappresentazione dei desideri, delle passioni, delle convinzioni e delle problematiche delle maschere che ci interessano, e che fanno parte del nostro pubblico. Conoscere tutti questi insights dei nostri compratori ci aiuta a calarci nella loro prospettiva, e a rivolgere di conseguenza messaggi personalizzati per ogni buyer persona che raffiguriamo.  In breve possiamo dire che la costruzione di questi archetipi non è un mero esercizio di stile, ma è, o dovrebbe essere, il punto di partenza della tua strategia di business. (se ti interessi di business e vuoi approfondire ti consiglio anche l’articolo del mio collega STARTUPSERIES 1, dove raccontiamo di come realizzare un Minimum Viable Product con l’approccio Lean.)

Ma adesso abbandoniamo Pirandello, e andiamo a vedere il processo con cui creare le nostre Buyer Personas, attraverso l’esempio pratico di come l’abbiamo fatto noi a Lacerba. 

Come iniziare a creare le tue Buyer Personas?

Il lavoro che sta dietro alla delineazione delle buyer persona, è un PROCESSO lungo che principalmente si divide in 3 macro-fasi: analisi qualitativa, costruzione delle Buyer e analisi quantitativa.  

Anche noi di lacerba nell’autunno 2019 abbiamo iniziato un bel (modestia a parte) lavoro in questo senso, che ha coinvolto molte energie da parte di tutto il team marketing. Nel nostro caso avevamo bisogno di conoscere meglio quali fossero le tipologie di utenti che si approcciano all’ e-learning.

Mentre la nostra piattaforma cresceva avevamo compreso che coloro che la utilizzavano avevano motivazioni di studio differenti, sogni eterogenei e obiettivi professionali variegati. La situazione ci stava sfuggendo di mano e serviva quindi un’operazione per comprendere davvero a chi ci stavamo rivolgendo. 

Per prima cosa abbiamo fatto un brainstorming per buttar giù i principali argomenti che sarebbe stato utile conoscere. Sulla base di questi spunti, abbiamo organizzato un set di domande da rivolgere alle persone, faccia a faccia, il cui output ci avrebbe aiutato a capire da dove iniziare. 

Tendenzialmente un Set di domande di questo genere deve tenere conto anche degli aspetti demografici della persona, ma soprattutto dei tratti caratteriali, delle abitudini, delle opinioni e dei modus operandi lavorativi. 

La fase qualitativa – le interviste

Messi a terra i punti fondamentali da indagare, e organizzata la nostra scaletta di domande, abbiamo iniziato con la parte più lunga del lavoro: le interviste faccia a faccia.

Le interviste sono il primo momento in cui riusciamo a raccogliere informazioni e spunti molto importanti per iniziare a costruire le nostre Buyer Personas. 

La prima cosa da tenere presente, è che se vogliamo essere sicuri di fare delle interviste sensate e utili, e di non andare a chiedere al fruttivendolo cosa ne pensi di Laravel, bisogna organizzare le interviste in luoghi strategici, il più possibile vicini al nostro target di riferimento. Informarsi su fiere di settore ed eventi stagionali è sicuramente un buon modo, ma anche luoghi della città che sappiamo essere frequentati da un certo tipo di persona. nel nostro caso il nostro settore di riferimento è quello del digitale, quindi abbiamo optato per condurre le nostre interviste ad eventi quali i Digital Days e SMAU. 

Una volta che sei lì, e sei in ballo, bisogna ballare.

Ammetto, è stato un lavoro molto faticoso, e che personalmente mi ha messo parecchio in gioco: fermare una persona per bombardarla di domande posso assicurare non è facile se non si è abituati. Tra lo stress, la concentrazione nel raccogliere quante più informazioni possibili e il dover stare in piedi 10 ore, ti garantisco che arriverai a fine giornata bello cotto.

Le linee guida per la gestione di un’intervista

Sulla base della nostra esperienza, ho pensato di creare questa lista delle 10 cose da fare durante le interviste:

  1. Essere sempre in 2. É importante infatti che mentre l’intervistatore fa le domande, l’altro, o scribano che dir si voglia, se le segni su un foglio. Spesso chi non intervista riesce a cogliere segnali non verbali, insights interni alla conversazione, che chi conduce l’intervista non riesce a cogliere in quanto impegnato nella comunicazione;
  2. Presentati come prima cosa. Saluta chi vuoi intervistare con cortesia e dicendo il tuo nome, magari stringigli la mano (forse non in questo periodo…). Ti assicuro aiuterà a creare empatia e fiducia con l’intervistato;
  3. Non svelare mai per chi lavori, ma se messo alle corde rivelalo solo a fine intervista per non influenzare le risposte. È importante mantenere la conversazione su un piano oggettivo, e non viziarla con le esperienze che l’intervistato può aver fatto con il tuo prodotto, o il prodotto di un particolare competitor;
  4. Parti dalle esperienze degli intervistati. Questo è un buon metodo per creare vicinanza, e mettere le basi perché questo non si senta “interrogato” e si senta più incline a raccontarsi;
  5. Non leggere le domande. Mentre leggiamo le domande creiamo distanza con l’intervistato, che percepisce l’intervista più come un esame che una chiacchierata;
  6. Segui il flusso della conversazione. Importante è avere una scaletta e seguirla, ma questa non deve essere presa come un dictat immodificabile. Se durante la conversazione escono spunti interessanti, vanno indagati, a costo di abbandonare le domande prestabilite;
  7. Non interrompere mai l’intervistato. Lascia il tempo alla persona a cui stai facendo domande di formulare la sua risposta, evita di mettere troppo pressing o incalzarlo con altre domande. 
  8. Sorridi e sii gentile! Sembra una sciocchezza, ma porsi in una maniera cordiale e sorridente, aiuta chi intervisti a mettersi a suo agio. Non peccare di eccesso di confidenza!
  9. Ferma quante più persone riesci! Bisogna tirar fuori un po’ di **** e cercare di fermare più persone possibili. Statisticamente prima o poi qualcuno che abbia voglia di condividere la sua esperienza e di aiutarti nel tuo progetto c’è là fuori, va solo trovato;
  10. Trascrivi subito le risposte. Una volta finita la tua giornata di interviste, prenditi un’oretta per trascrivere bene tutte le risposte che gli intervistati ti hanno dato. Il giorno dopo abbiamo le idee molto meno chiare in testa e le tue impressioni inizieranno a confondersi.

I prossimi passi da fare

Dopo aver completato le interviste, il risultato del lavoro sarà una pila di quaderni, blocchi note, fogli di appunti e record e, se hai seguito i consigli sopra citati, un transcript ben organizzato di tutte le risposte degli intervistati.Questa trascrizione sarà la base su cui iniziare a muovere le energie per il prossimo task: la creazione dei profili delle buyer persona e la validazione statistica delle nostra ricerca sul campo.

Delle due fasi successive del lavoro per la costruzione dell Buyer Personas te ne parlerò nel prossimo articolo! Quindi mi raccomando, iscriviti alla nostra Newsletter per restare sempre aggiornato sulle ultime novità di Lacerba e non perdere la seconda parte dell’articolo sulle Buyer Personas!

I corsi che ti consigliamo

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1 Luglio 2020 0 commenti
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Creare business

L’hamburger che ha cambiato il mondo

by Francesca Clivio 22 Maggio 2020
by Francesca Clivio

Alcune lezioni di imprenditoria che si possono apprendere dal film di culto “The Founder”

Nella vita tutto scorre velocemente senza che noi ce ne accorgiamo, questo cambiamento deve essere interpretato e gestito in modo da poterne trarre il massimo vantaggio. Ciò che abbiamo e come siamo non è nient’altro che il frutto di un lungo viaggio che abbiamo percorso fino a qui, una lenta evoluzione che ha visto modificare i nostri modi di fare, di pensare, di porci verso noi stessi e verso gli altri. Tale progresso è la sintesi di differenti lezioni che possiamo trarre da tutto ciò che ci circonda e non dobbiamo stupirci se alcuni capolavori cinematografici rimangono impressi nella nostra mente aiutandoci a metabolizzare concetti complessi in maniera semplice o se rappresentano per noi inestimabile fonte di ispirazione. 

Alla luce di questa premessa ho deciso di rispolverare “The Founder” (2016). Come probabilmente la maggior parte di voi saprà è la pellicola diretta da Jhon Lee Hancock che narra le vicende di carattere biografico legate alla nascita del colosso dei fast food: Mc Donald’s. La storia orbita attorno alla figura discussa di Ray Kroc, interpretato da Michael Keaton. 

Siamo nel 1954, Ray è un venditore porta a porta di cinquant’anni e si trova in California per questioni di lavoro quando viene a conoscenza del fast food dei fratelli Mac e Dick McDonald. I tre personaggi discutono sul modo di lavorare nel loro settore, ed è proprio in questo momento di scambio che Ray resta folgorato dall’esperienza imprenditoriale dei due fratelli. In seguito tenta di convincerli a fare una partnership professionale imbattendosi inizialmente in un loro rifiuto, ma in un momento successivo riesce, grazie alla sua tenacia, ad instaurare una collaborazione coi due personaggi. Questo è l’inizio di una burrascosa relazione di lavoro tra Ray e i fratelli McDonald che porterà alla nascita di quell’impero da miliardi di dollari che è oggi McDonald’s.

Ma cosa si cela realmente dietro questa storia? Vediamo insieme alcuni dei numerosi insegnamenti che possiamo trarre dall’esperienza di Ray Kroc e i fratelli McDonald’s.

1) L’idea non è tutto

l'idea non è tutto

Come il film ci dimostra l’esecuzione di un’idea è molto più importante dell’idea stessa: Ray Kroc non è il vero fautore dell’essenza profonda di McDonald’s, sono stati i due fratelli con il loro talento ad averla ideata in quanto padri di un sistema produttivo che ha rivoluzionato la ristorazione. Ciò che Ray Kroc possedeva, al contrario, era una visione legata alla volontà di “scalare” il fast food. E’ stato il focus totalmente orientato sull’efficientamento di tempi/risorse ad aver fatto perdere d’occhio ai fratelli quello che era il vero potenziale del business: esportare il modello McDonald’s attraverso l’affiliazione commerciale. È chiaro che senza idee brillanti ed innovative non può nascere alcun progetto rivoluzionario, ma conta ancor di più avere una Vision più grande, capace di trasformare una grande idea in un’idea rivoluzionaria. Dunque nonostante Ray non avesse inventato la catena di montaggio per la produzione di hamburger è stato proprio il suo pensare su grande scala ad aver reso McDonald’s un colosso.

2) L’importanza dello Storytelling

l'importanza dello storytelling

Ray Kroc girando per le strade dell’America si accorse che nel panorama statunitense due elementi erano ricorrenti: i crocifissi e le bandiere a stelle e strisce. Pertanto decise di fare del Mcdonald’s la seconda chiesa americana, che non è aperta solo la domenica (come lui stesso afferma). Inoltre, Kroc ebbe il grande intuito di comprendere che il nome McDonald’s non andava toccato, perché fortemente americano. Un nome che significa America, un brand che associa la propria immagine al concetto felice di famiglia, condivisione, gioia e prosperità. Nonostante fossimo negli anni ’60, il protagonista aveva già intuito l’importanza dello storytelling per il successo di una grande impresa. Il marketing post-fordista di Ray è una delle novità brillantemente messa a fuoco dal film. Alcuni esempi potrebbero essere la già citata importanza che Ray riconosce al nome (sa che McDonald’s funzionerà meglio del suo cognome nella comunicazione e capacità di trasmettere i valori del fast food) o l’estrema cura e attenzione con cui ogni punto vendita del marchio viene aperto. Ed è proprio il binomio composto da catena di montaggio nella produzione del cibo fast food e spregiudicatezza comunicativa decisamente non fordista, che rese il prodotto vincente. 

3) L’Importanza dell’Innovazione

È risaputo che il cambiamento costa fatica e normalmente può generare paura. Attenzione però, anche rimanere chiusi nella nostra “comfort zone” ritenendo che il “nuovo” sia una minaccia e non un’opportunità può essere altamente pericoloso: questo è ciò che è accaduto ai fratelli McDonald, che consideravano Ray Kroc e le sue idee come delle minacce per la propria impresa. L’innovazione passa inevitabilmente attraverso la rottura dei codici, fenomeno che si evidenza nel film con la rottura tra Ray e i fratelli McDonald.

E’ quando il protagonista acquista i terreni sui quali sarebbero sorti i vari punti vendita della catena che assistiamo alla vera e propria svolta: in assenza di questa virata netta l’impresa sarebbe andata verso il fallimento per via degli elevati costi fissi. Si deve riconoscere che se Ray Kroc fosse rimasto legato all’idea iniziale di franchise dei fratelli McDonald’s, questo modello non avrebbe avuto il successo che conosciamo oggi. L’insegnamento più importante che possiamo trarre è quello di essere sempre pronti a mutare e cambiare la nostra idea in funzione dei continui cambiamenti del mercato e per la salvaguardia della nostra impresa, l’innovazione non deve essere nostra nemica bensì una grande alleata.

4) L’ ottimizzazione dei processi

ottimizzare i processi

Una delle scene più affascinanti, almeno per me, è quella in cui i fratelli McDonald ricordano le loro origini descrivendo ciò che li ha portati  dal generico drive in al loro ristorante: la focalizzazione sul «core business». I due avevano capito che focalizzandosi solo su tre semplici prodotti (hamburger, patatine e coca cola) avrebbero potuto massimizzare i ricavi e dimezzare i tempi di produzione. La focalizzazione però non basta, sono indispensabili anche l’organizzazione e l’efficienza in un’impresa che si rispetti. Questa lezione sono i due fratelli a insegnarcela: infatti l’emblema della trasposizione del taylorismo nella ristorazione si trova nella scena in cui spiegano l’organizzazione interna della cucina e il modo in cui hanno ottimizzato la produzione di hamburger: l’efficienza dei tempi; la sequenzialità delle operazioni; la standardizzazione. È indubbio che la loro sia stata un ribaltamento della cucina di ristorante che si trasforma in un vero e proprio processo produttivo, ottenendo come risultato una sinfonia di efficienza senza spreco di movimenti. Dietro a questo incredibile risultato si cela un grande studio: i due fratelli impiegarono molto tempo insieme ai cuochi, per provare i loro movimenti su uno spazio disegnato a terra, al fine di progettare la cucina perfetta, che consentisse di muoversi nel modo più produttivo possibile. 

5) La perseveranza come spirito guida

Una delle lezioni più importanti che “The Founder” mi ha insegnato è che c’è una qualità imprescindibile dell’imprenditore di successo: la perseveranza. Nel corso del film è lo stesso Ray a ripeterlo più volte, quasi in maniera ossessiva: nella vita non contano il talento, il genio, l’istruzione. Conta la perseveranza. Conta la tenacia, la determinazione. La perseveranza per lui è quasi uno spirito guida, ed è proprio grazie ad essa che Ray non desiste, non si abbatte di fronte all’insuccesso, ma si rialza dopo ogni fallimento e riprova fin a quando riesce nel suo obiettivo. Non a caso “The Founder” può considerarsi il simbolo di una perseveranza onnipotente, vera guida per il suo protagonista. La convinzione, che molti hanno, riguardo il raggiungimento del successo grazie ad un’intuizione geniale, un lampo d’ispirazione che apre la strada ad una via in discesa è una visione illusoria della realtà. Non dobbiamo dimenticarci che i risultati, nella maggior parte dei casi, sono frutto del sacrificio. Ray è l’esempio lampante che non esiste un tempo perfetto o un’età stabilita per fare successo, lui non era un giovanotto ed aveva già cambiato numerosi impieghi, eppure grazie alla sua perseveranza ha rivoluzionato la sua vita. Ed è lui stesso ad insegnarcelo già nelle prime battute del film quando afferma che “Come fa uno di 52 anni, attempato, che vende frullatori per milkshake, a diventare il fondatore di un impero del fast food con 1600 ristoranti e un fatturato di 700 milioni di dollari? Una sola parola: perseveranza.”

Queste sono le lezioni che ho tratto dalla visione di “The Founder”, sei d’accordo con i punti che ho evidenziato o credi ci sia altro da aggiungere? Se ti va fammi sapere la tua opinione con un commento. 

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INDICE

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