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Creare business

Come fare Storytelling
Creare business

HyperContent: l’unica via per progettare contenuti rilevanti e memorabili

by Alberto Maestri 11 Settembre 2020
by Alberto Maestri

L’importanza dei contenuti per la comunicazione, il marketing e la vita (professionale) del Marketer

Sappiamo ormai molto bene cosa intendiamo quando parliamo di content marketing: l’affiancamento alla produzione di beni e servizi di un’attività sistematica di creazione, editing e distribuzione di contenuti che avvicina le aziende all’attività delle media company. 

I contenuti sono oggi alla base di tutto,

e non devi fare l’errore di pensare che siano solo digitali: anche perché tutti noi, siamo utenti e consumatori omni-canali.

In effetti, i contenuti sono alla base della progettazione di:

  • esperienze memorabili, che hanno bisogno di punti di contatto (touch point) e – appunto! – contenuti per fare presa sull’audience. Non a caso, all’interno del loro bestseller Experiences. The 7th Era of Marketing, esperti globali del calibro dell’amico Robert Rose e di Carla Johnson hanno introdotto il tema delle esperienze abilitate dal contenuto (content-driven experiences). 
  • storie memorabili. Non dimenticarlo mai: per fare davvero presa, i contenuti devono avere un DNA narrativo. In inglese, devi progettare story-driven contents. Devono essere conflittuali, parlare alle persone che li fruiscono (tutti leggiamo con più piacere qualcosa che in qualche modo parla al nostro vissuto), proporre linguaggi e mondi in contrapposizione, avere una propria forma ben distinta. A proposito, di forme, se vuoi partire dal disegno di una storia formidabile, ti consiglio questo breve video del maestro Kurt Vonnegut che parla proprio della forma delle narrazioni. 
  • brand memorabili. Se ti dico Red Bull, che cosa ti viene in mente? Immagino un sacco di cose, dalle lattine agli sport estremi. In effetti, per Red Bull i contenuti hanno permesso di abilitare una strategia di diversificazione del portafoglio di prodotti e servizi complessa, iper-targettizzata per ogni specifica nicchia di audience. La vera magia che sta oggi nella strategia di Red Bull è che l’azienda può vendere probabilmente ciò che vuole, a chiunque. Ha una marca talmente forte e legata alla propria audience che anche se iniziasse a distribuire vestiti, tavole da surf o addirittura biciclette, avrebbe probabilmente successo.

Progettare contenuti ‘IPER’

In Content Evolution, la Nuova Era del Marketing Digitale, il libro che ho scritto nel 2015 insieme a Francesco Gavatorta, abbiamo parlato di iper-contenuti.

Gli iper-contenuti, che abbiamo battezzato HyperContents, sono tutti quei contenuti che risentono fortemente dell’utilizzo che facciamo degli smartphone; proprio per questo, essi non rientrano in una determinata forma definita e pre-confezionata dal professionista di content design indipendentemente dalle peculiarità di chi li fruirà, ma trovano piuttosto senso, ‘chiusura’ e compimento anche nella relazione che si instaura con lo spazio e il tempo circostante, ovvero con il contesto in cui l’utente è calato. Contenuti, certo: ma che nascono prima di tutto dall’esperienza personale, e risultano dunque amplificati nella loro forma.

Sempre insieme a Francesco abbiamo anche provato a definire la formula operativa utile alla progettazione di HyperContents efficaci, composta dai tre elementi che ho appena citato: spazio/tempo, device, attività dell’utente (fig. 18).

  1. Spazio/tempo: la prima condizione per la creazione di iper-contenuti consiste nella considerazione della dimensione spazio/temporale dell’utente, come ad esempio il suo passaggio all’interno di un determinato luogo e/o durante una specifica fascia oraria (una strada, una piazza o un negozio, in pieno giorno o di notte). L’accento è sulla ri-modellazione della fruizione dell’esperienza in funzione del profilo personale, a condizione (naturalmente) che lo strumento con cui la stessa persona si connette e le logiche immersive di progettazione della narrazione di marca permettano l’interazione con la dimensione più personale.
  2. Device: il device – in particolare lo smartphone – è una variabile indispensabile, una vera e propria leva propulsiva della nuova narrazione di marca. Se veicolate da mobile, anche le più semplici call-to-action risultano immediate e limitate nel tempo, nonché relazionate con molte altre dimensioni strettamente legate al tempo e al luogo di fruizione.
  3. Attività dell’utente: unico termine non ancora definito durante la trattazione del testo, con cui intendiamo l’azione-obiettivo attraverso cui il brand e l’azienda desiderano attivare e stimolare il singolo individuo.

Per concludere con un esempio, pensa al fenomeno Pokémon Go, che fino a pochi anni fa teneva incollati al proprio smartphone milioni di persone in tutto il mondo. Un’applicazione dove spazio/tempo, device e attività dell’utente sono risultati proprio gli ingredienti fondamentali che l’hanno resa un fenomeno di marketing digitale rilevante. L’app permette al giocatore di catturare Pokémon esplorando luoghi reali attraverso la realtà aumentata, interagendo con gli spostamenti della persona accompagnandola ovunque e garantendo così la possibilità di giocare senza limiti. Non è sbagliato affermare che tempo e spazio, se uniti alla rete grazie ai media digitali e all’attività degli individui, generano una nuova forma di contenuto immersivo e personalizzato, unico nel suo genere: un HyperContent, appunto.

E tu, vuoi progettare ipo-contenuti, ossia contenuti senza rilevanza per la tua audience, oppure iper-contenuti?

Un invito prima di salutarci

Ci tenevo a farti sapere che è uscito su Lacerba il nuovo percorso online in Brand Storytelling e Digital Copywriting, di cui sono coordinatore scientifico. Insieme a me hanno partecipato alla realizzazione di questo percorso anche Francesco Gavatorta, Andrea Bettini e Davide Bertozzi.

Se l’argomento ti intriga di invito a scoprire la pagina del percorso.

11 Settembre 2020 0 commenti
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come tracciare i dati del tuo business
Creare business

Come tracciare i dati del tuo business: guida pratica

by Alessandro 8 Luglio 2020
by Alessandro

Processo, strumenti e metriche per crescere nel digitale attraverso l’analisi dei dati.

corsi online per aziende

INDICE

  • Introduzione
  • Il processo: come raccogliere dati lungo tutto il percorso.
  • Tre strumenti fondamentali per misurare i dati
  • Quali metriche tracciare: alcuni esempi
  • Conclusioni: “Tortura i dati”
  • I corsi che ti consigliamo

Introduzione: perché è importante tracciare i dati del tuo business?

Fare digital Marketing oggi significa molte cose: comunicare attraverso i social network, diffondere video virali, incappare in epic fail ed epic win, beccarsi una “shitstorm” o commenti sprezzanti di leoni da tastiera, lanciare un trending topic su Twitter, ma soprattutto significa diventare abili Einstein in grado di osservare, comprendere e utilizzare i dati. 

Oggi tutti noi abbiamo infatti accesso a una quantità enorme di big data che aziende e consumatori generano in ogni momento e che possiamo tracciare e analizzare. Come può allora il tuo progetto imprenditoriale trarne vantaggio? 

Nel momento in cui decidi di avviare una tua attività online ti accorgerai che essa genera dati. La grande sfida per chi fa impresa non è però solo quella di raccogliere questi dati, bensì prendere decisioni a partire da essi. Affinché il tuo progetto possa svilupparsi devi poter sempre imparare da ciò che analizzi: questa è l’unica soluzione per crescere, altrimenti sarebbe come vagare nella giungla senza mappa né bussola.

Ogni business è diverso dagli altri ma, come sempre quando si parla di digital, la risposta sta nel mezzo: tutto dipende dal business in cui operi, dal mercato, dal tuo prodotto, dai tuoi clienti, dalla cultura aziendale e da quella del paese in cui operi. Ciò che invece non cambia è il processo, la mentalità data-driven necessaria per fare Digital Marketing. 

In questo articolo ti parlerò di processo, strumenti e metriche applicate al caso reale della nostra scuola online, cercando di fornire spunti utili per la tua attività.

Il processo: come raccogliere dati lungo tutto il percorso.

Ogni azienda attraversa varie fasi della propria vita: da startup, a scaleup (una scaleup è una società innovativa più “matura” di una startup), fino alla costituzione di un’azienda strutturata. In questo percorso di crescita i dati generati dal prodotto la fanno da padrone e il focus sui di essi è essenziale per comunicarne il valore nel mercato. Vediamo l’esempio di Lacerba.io.

Agli inizi, quando avevamo capito che vi era necessità di fornire formazione pratica su competenze digitali in lingua italiana, abbiamo intervistato quelle persone che più avevano una necessità di formazione, ovvero gli imprenditori, per comprendere prima di tutto quali fossero le loro aspettative, comportamenti e problemi. Abbiamo delineato sempre meglio il bisogno a cui volevamo rispondere ed è così che abbiamo generato le prime metriche, ricavando quei dati che ci hanno consentito di costruire il prodotto. Riesci a vedere come dati e prodotto sono profondamente legati?  

Se sei all’inizio di un progetto ogni minimo feedback è importante, soprattutto è fondamentale ciò che le persone ti raccontano. Questi dati qualitativi ti permettono di costruire il primo prodotto/servizio, o eventualmente abbandonarlo (sempre meglio che dopo avervi investito tempo e denaro, no?). Se ti interessa scoprire come abbiamo realizzato il nostro MVP attraverso queste interviste, leggi anche il nostro articolo STARTUPSERIES 1 sempre sul nostro Blog.

Un’azienda in crescita dovrebbe dedicare le proprie energie alla sperimentazione continua. Lacerba ha sperimentato molto evolvendo il proprio modello di business e individuando nuovi stakeholders utili. Abbiamo acquisito nel tempo sempre più utenti e abbiamo iniziato ad analizzare la loro interazione con il prodotto. Ci siamo allora domandati: “Come acquisiamo i nuovi utenti?”, “Come studiano i nostri utenti (leggi anche “Come usano il mio prodotto?”)?”, “Quanto spesso lo fanno?”, “Quante volte ritornano (se ritornano)?” Se ti interessa la fase di ricerca sul target abbiamo parlato del processo di costruzione delle Buyer Personas nell’articolo STARTUPSERIES 4.

Nel momento in cui il nostro prodotto era online dovevamo capire se gli utenti si comportavano o meno come avevamo ipotizzato inizialmente. Nel momento in cui un cliente entra in contatto con te, entra anche nel cosiddetto “funnel”, l’imbuto concettuale che definisce le varie fasi della sua esperienza. Ha senso dunque individuare, per ogni fase del funnel la cosiddetta “OMTM” (One metric that matter), la metrica più importante per stabilire come sta andando il tuo business. Ciò che devi fare è ottimizzare quella metrica. Qual è questa metrica? Attendi qualche riga e troverai alcuni esempi.

Una volta individuate le metriche che contano davvero per il tuo business, sarai in grado di lavorare sulla variabili per far crescere la tua azienda. Facciamo un esempio: mettiamo tu voglia monitorare quanto spendi per avere un nuovo utente pagante, il cosiddetto Costo di acquisizione. Se riesci a diminuire questo costo, vuol dire che hai trovato un modo più conveniente per attrarre una persona disposta a comprare il tuo prodotto. Stai crescendo, perché stai spendendo meno e hai più margine sul tuo prodotto o servizio. 

La spesa per acquisire un nuovo utente su Lacerba era molto più alta all’inizio di quanto non lo sia oggi, ma l’evoluzione positiva del costo di acquisizione nel tempo è stata per noi un indicatore importante. Come mai questo è avvenuto? Per tanti motivi, grazie ad esempio ai contenuti di qualità, grazie a un sito più user friendly, grazie a una crescita del brand stesso, tramite il passaparola. Tutti questi fattori sono accomunati da un elemento: essi acquisiscono senso solo se vengono misurati e tracciati.

Se ti interessa la fase strategica per delineare le metriche fondamentali del tuo business, guarda anche l’intervista al nostro CEO, Michele Di Blasio, in cui affronta proprio questo tema.

Michele Di Blasio, CEO di Lacerba, ospite sul canale YouTube di Raffaele Gaito.

Tre strumenti fondamentali per misurare i dati

Il Mercato è pieno di strumenti utili a tracciare e analizzare dati: strumenti di tracciamento dei link, strumenti per l’analisi seo, strumenti per ascoltare ciò che si dice della tua azienda sui social. Spesso molti di questi strumenti non ti serviranno. “Less is more”. Questo “less” è formato per me da tre strumenti fondamentali che mi sento di consigliarti e che, non ci crederai, possiedi già se hai un computer. Sono programmi molto utili e alla portata di tutti per analizzare le metriche importanti.

  1. Google analytics. Lo strumento gratuito di Google è disponibile a chiunque e offre da subito varie metriche sul comportamento degli utenti, ad esempio il numero di visite, il tasso di rimbalzo (la percentuale di utenti che atterra su una pagina web e ne esce senza fare alcuna interazione), la provenienza dei visitatori, il dispositivo che utilizzano, eccetera;
  2. Microsoft Excel. Excel ti consente di prendere i dati in tuo possesso e di riorganizzarli, manipolarli e trasformarli praticamente come vuoi per estrapolare le informazioni che ti servono. Per quanto riguarda Lacerba, io utilizzo questo programma principalmente per analizzare i comportamenti degli studenti, capire quali sono i tempi medi di completamento di un corso, quali prodotti formativi vengono acquistati più spesso, conoscere il tasso di riacquisto, e molto altro;
  3. Un mio professore di statistica dell’Università disse una volta: “Se entra spazzatura, esce spazzatura”. Questa affermazione ci porta a parlare del terzo strumento che mi sento fortemente di consigliarti e di curare continuamente: il tuo database di contatti. Se sarai in grado di raccogliere i dati corretti e utili per te, allora avrai tutto ciò che ti serve per conoscere al meglio la tua audience, rispondere ai suoi bisogni e formulare ipotesi sul tipo di cliente che vuoi raggiungere. Come si fa a raccogliere i dati corretti? Domandati innanzitutto cosa vuoi conoscere, cosa è importante per te sapere, dopodiché escogita il modo più intelligente e scalabile per ottenere queste informazioni direttamente dagli utenti. Un esempio? Prova a costruire un quiz che, sotto forma di test della personalità, permette all’utente di dirti qualcosa in più su di sé. 

Dalle modalità di utilizzo del prodotto e dall’analisi dei comportamenti degli utenti abbiamo individuato alcune metriche fondamentali e importanti che, in generale, rimangono valide quando si fa impresa nel digitale. 

Un consiglio: evita a tutti i costi le cosiddette “vanity metrics”, soprattutto se stai portando questi numeri a possibili investitori. Le vanity metrics non indicano come sta andando veramente il tuo business e come si evolverà, sono metriche che non restituiscono, né a te, né a chi vuole investire nel tuo progetto, alcuna informazione utile. L’esempio classico è il numero di piace sulla pagina facebook: che cosa dice questo numero riguardo al tuo modello di business o a come monetizzi con il tuo prodotto o servizio?

Ecco alcune metriche molto interessanti che penso potranno essere utili anche per il tuo business.

CAC (Customer acquisition cost)

Se vuoi crescere e rendere sostenibile il tuo business devi acquisire nuovi utenti. Il costo di acquisizione utente calcola quanto spendi in media per ottenere un nuovo utente e, nella sua forma più semplice, è un rapporto tra importo speso e nuovi utenti acquisiti e può essere calcolato per singolo canale oppure attraverso una media generica. L’obiettivo di qualsiasi attività è naturalmente quello di abbassare il CAC. Questa metrica è importante per Lacerba perché ci indica quanto è “faticoso” far iscrivere un nuovo studente al sito e ci spinge a capire come rendere il prodotto il più accessibile possibile all’utente che vogliamo attrarre. Nel nostro caso, la presenza dei corsi gratuiti all’interno del sito ci ha aiutato a mantenere dei costi di acquisizione più bassi, in una situazione di mercato molto competitiva che fa aumentare inevitabilmente i costi (se ad esempio gestisci un ecommerce e vendi prodotti di utilizzo quotidiano e del valore di pochi euro, probabilmente il tuo cac sarà relativamente basso perché il prodotto è maggiormente alla portata dell’utente medio). Ancora una volta: metrica e prodotto viaggiano insieme.

CLV/LTV (Customer lifetime value/Lifetime value)

Questa è una metrica di engagement molto importante per un prodotto formativo come quello di Lacerba. Il Customer lifetime value indica quanto vale per te un utente nel tempo e calcola l’importo totale in termini di transazioni che egli ti porta prima di andarsene (sì, un utente potrebbe prima o poi scocciarsi o preferire un competitor). In questa metrica sono coinvolte altre due metriche, il tasso di fidelizzazione (quanto in media un utente rimane fedele al tuo brand) e il guadagno che porta nel tempo. Questo indicatore è strettamente legato al prodotto che può avere un ciclo di vita più o meno lungo, a seconda del tipo, del costo, delle modalità di utilizzo. Nel nostro caso è importante capire se uno studente studia su Lacerba one shot o se invece ritorna e dopo quanto tempo. Questo ci permette di comprendere se la direzione che abbiamo voluto dare al nostro prodotto è percepita e condivisa dagli studenti e capire come aumentare il più possibile il valore del LTV. Lacerba lo fa attraverso l’orientamento nello studio e suggerendo percorsi più completi e correlati che lo studente può seguire nel tempo.

Churn rate (Tasso di abbandono)

“Ogni quanto uno studente studia su Lacerba?”, “Dopo quanto possiamo considerarlo inattivo?” Da domande come queste abbiamo compreso che individuare il tasso di abbandono è fondamentale per capire quanti utenti non sono soddisfatti del prodotto. Tale metrica indica il numero di utenti che smettono di usare il tuo prodotto o servizio e dipende dalla frequenza di utilizzo che, a sua volta, dipende dal tipo di prodotto. Facciamo un esempio: se sei Uber non ti aspetti che un utente prenoti una corsa al giorno, quanto piuttosto una volta a settimana. Se sei Uber, controllerai ogni quanto in media un utente utilizza il prodotto e, se troppi utenti si allontanano dalla media, starà a te capire perché questo accade. Sii come Uber. Per Lacerba, uno studente che blocca il proprio studio per alcuni mesi, è un utente che ci abbandona. Questo ci spinge a migliorare il prodotto e a sperimentare nuove soluzioni per diminuire questo tasso.

ARPU (Average revenue per user)

Un’altra metrica che abbiamo capito essere importante è il fatturato medio per utente. A Lacerba abbiamo prodotti con prezzi molto diversi e questo indicatore ci mostra in che direzione andare per calibrare di conseguenza le spese per produrre i nostri contenuti. Abbiamo effettuato degli esperimenti su vari prodotti con vari piani di prezzo per comprendere sempre meglio fino a quanto l’utente è disposto a spendere in media e, perciò, quale valore in termini monetari egli conferisce al prodotto. In questo caso l’obiettivo finale è aumentare tale valore fino a un limite che dipende dal pubblico cui ti rivolgi e quanto esso è disposto a spendere, non solo per il prodotto ma anche per tutto ciò che vi sta attorno (servizi aggiuntivi, fiducia nel brand, customer servizio, ecc.).

5. Conclusioni: “Tortura i dati”

“Se torturi i dati abbastanza, alla fine confesseranno quello che vuoi” (Darrel Huff).

Quando hai una tua attività il grosso del lavoro risiede essenzialmente nel “torturare” i dati che essa produce nel corso della propria vita e di scovare quelli giusti: dati dei tuoi utenti, dei loro comportamenti, dati che ottieni da feedback, dalle domande e dalle risposte, dal mercato, dai competitor. Saprai che sono dati utili se risponderanno alle domande riguardanti la salute del tuo business. 

Gli indicatori che ti ho presentato sopra si adattano sicuramente anche al tuo caso. Avrai anche capito che è fondamentale raccoglierli in qualsiasi momento di vita del tuo progetto per creare un circolo virtuoso di continua raccolta e analisi.

Ciò che hai letto erano esempi riferiti al un caso particolare ma ciò che vorrei tu portassi a casa sono soprattutto la metodologia e il processo. Ora non ti resta che riprendere il tuo progetto, “interrogarlo” a dovere e tirare fuori le risposte interpretando ciò che i tuoi utenti fanno.

Che ne pensi? Qual è la tua esperienza con queste o altre metriche? Lasciami la tua opinione qui sotto nei commenti.

I corsi che ti consigliamo

Se vuoi imparare ancora di più sull’analisi dati, sia sul processo che sui metodi, ti consiglio questi corsi online su Lacerba:

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Introduzione a Google Analytics e Google Tag Manager – Free

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8 Luglio 2020 2 commenti
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Creare business

Cosa sono e come costruire le Buyer Personas

by Marco Trezzi 1 Luglio 2020
by Marco Trezzi

Scopri come costruire le tue Buyer Personas per comunicare efficacemente con il tuo target.

Se Pirandello fosse stato un marketer, sono sicuro che una delle prime cose che avrebbe fatto sarebbe stata quella di conoscere le persone a cui stava vendendo le sue opere. Abile intenditore delle diverse sfaccettature dell’essere umano, Pirandello ha sempre prestato attenzione ai molteplici comportamenti umani. In Uno, Nessuno, Centomila, per esempio, romanza quanto l’uomo si adatti a diversi ambienti indossando una maschera tutti i giorni. Attraverso quella maschera, riusciamo a conoscere la persona che la indossa e che abbiamo di fronte.

Ma cosa c’entra tutto questo con le Buyer Personas? 

“Persona” in latino significa letteralmente “maschera d’attore” ed indica il ruolo che viene recitato dall’uomo durante la vita di tutti i giorni.

Pirandello avrebbe quindi capito fin da subito (amava l’inglese) che con Buyer Persona si intende la raffigurazione di un utente, di un possibile “Attore Acquirente”, attraverso l’aggregazione di dati qualitativi reperiti in diversi contesti, che incarnano un segmento del nostro pubblico di riferimento.

Altro non si tratta che la rappresentazione dei desideri, delle passioni, delle convinzioni e delle problematiche delle maschere che ci interessano, e che fanno parte del nostro pubblico. Conoscere tutti questi insights dei nostri compratori ci aiuta a calarci nella loro prospettiva, e a rivolgere di conseguenza messaggi personalizzati per ogni buyer persona che raffiguriamo.  In breve possiamo dire che la costruzione di questi archetipi non è un mero esercizio di stile, ma è, o dovrebbe essere, il punto di partenza della tua strategia di business. (se ti interessi di business e vuoi approfondire ti consiglio anche l’articolo del mio collega STARTUPSERIES 1, dove raccontiamo di come realizzare un Minimum Viable Product con l’approccio Lean.)

Ma adesso abbandoniamo Pirandello, e andiamo a vedere il processo con cui creare le nostre Buyer Personas, attraverso l’esempio pratico di come l’abbiamo fatto noi a Lacerba. 

Come iniziare a creare le tue Buyer Personas?

Il lavoro che sta dietro alla delineazione delle buyer persona, è un PROCESSO lungo che principalmente si divide in 3 macro-fasi: analisi qualitativa, costruzione delle Buyer e analisi quantitativa.  

Anche noi di lacerba nell’autunno 2019 abbiamo iniziato un bel (modestia a parte) lavoro in questo senso, che ha coinvolto molte energie da parte di tutto il team marketing. Nel nostro caso avevamo bisogno di conoscere meglio quali fossero le tipologie di utenti che si approcciano all’ e-learning.

Mentre la nostra piattaforma cresceva avevamo compreso che coloro che la utilizzavano avevano motivazioni di studio differenti, sogni eterogenei e obiettivi professionali variegati. La situazione ci stava sfuggendo di mano e serviva quindi un’operazione per comprendere davvero a chi ci stavamo rivolgendo. 

Per prima cosa abbiamo fatto un brainstorming per buttar giù i principali argomenti che sarebbe stato utile conoscere. Sulla base di questi spunti, abbiamo organizzato un set di domande da rivolgere alle persone, faccia a faccia, il cui output ci avrebbe aiutato a capire da dove iniziare. 

Tendenzialmente un Set di domande di questo genere deve tenere conto anche degli aspetti demografici della persona, ma soprattutto dei tratti caratteriali, delle abitudini, delle opinioni e dei modus operandi lavorativi. 

La fase qualitativa – le interviste

Messi a terra i punti fondamentali da indagare, e organizzata la nostra scaletta di domande, abbiamo iniziato con la parte più lunga del lavoro: le interviste faccia a faccia.

Le interviste sono il primo momento in cui riusciamo a raccogliere informazioni e spunti molto importanti per iniziare a costruire le nostre Buyer Personas. 

La prima cosa da tenere presente, è che se vogliamo essere sicuri di fare delle interviste sensate e utili, e di non andare a chiedere al fruttivendolo cosa ne pensi di Laravel, bisogna organizzare le interviste in luoghi strategici, il più possibile vicini al nostro target di riferimento. Informarsi su fiere di settore ed eventi stagionali è sicuramente un buon modo, ma anche luoghi della città che sappiamo essere frequentati da un certo tipo di persona. nel nostro caso il nostro settore di riferimento è quello del digitale, quindi abbiamo optato per condurre le nostre interviste ad eventi quali i Digital Days e SMAU. 

Una volta che sei lì, e sei in ballo, bisogna ballare.

Ammetto, è stato un lavoro molto faticoso, e che personalmente mi ha messo parecchio in gioco: fermare una persona per bombardarla di domande posso assicurare non è facile se non si è abituati. Tra lo stress, la concentrazione nel raccogliere quante più informazioni possibili e il dover stare in piedi 10 ore, ti garantisco che arriverai a fine giornata bello cotto.

Le linee guida per la gestione di un’intervista

Sulla base della nostra esperienza, ho pensato di creare questa lista delle 10 cose da fare durante le interviste:

  1. Essere sempre in 2. É importante infatti che mentre l’intervistatore fa le domande, l’altro, o scribano che dir si voglia, se le segni su un foglio. Spesso chi non intervista riesce a cogliere segnali non verbali, insights interni alla conversazione, che chi conduce l’intervista non riesce a cogliere in quanto impegnato nella comunicazione;
  2. Presentati come prima cosa. Saluta chi vuoi intervistare con cortesia e dicendo il tuo nome, magari stringigli la mano (forse non in questo periodo…). Ti assicuro aiuterà a creare empatia e fiducia con l’intervistato;
  3. Non svelare mai per chi lavori, ma se messo alle corde rivelalo solo a fine intervista per non influenzare le risposte. È importante mantenere la conversazione su un piano oggettivo, e non viziarla con le esperienze che l’intervistato può aver fatto con il tuo prodotto, o il prodotto di un particolare competitor;
  4. Parti dalle esperienze degli intervistati. Questo è un buon metodo per creare vicinanza, e mettere le basi perché questo non si senta “interrogato” e si senta più incline a raccontarsi;
  5. Non leggere le domande. Mentre leggiamo le domande creiamo distanza con l’intervistato, che percepisce l’intervista più come un esame che una chiacchierata;
  6. Segui il flusso della conversazione. Importante è avere una scaletta e seguirla, ma questa non deve essere presa come un dictat immodificabile. Se durante la conversazione escono spunti interessanti, vanno indagati, a costo di abbandonare le domande prestabilite;
  7. Non interrompere mai l’intervistato. Lascia il tempo alla persona a cui stai facendo domande di formulare la sua risposta, evita di mettere troppo pressing o incalzarlo con altre domande. 
  8. Sorridi e sii gentile! Sembra una sciocchezza, ma porsi in una maniera cordiale e sorridente, aiuta chi intervisti a mettersi a suo agio. Non peccare di eccesso di confidenza!
  9. Ferma quante più persone riesci! Bisogna tirar fuori un po’ di **** e cercare di fermare più persone possibili. Statisticamente prima o poi qualcuno che abbia voglia di condividere la sua esperienza e di aiutarti nel tuo progetto c’è là fuori, va solo trovato;
  10. Trascrivi subito le risposte. Una volta finita la tua giornata di interviste, prenditi un’oretta per trascrivere bene tutte le risposte che gli intervistati ti hanno dato. Il giorno dopo abbiamo le idee molto meno chiare in testa e le tue impressioni inizieranno a confondersi.

I prossimi passi da fare

Dopo aver completato le interviste, il risultato del lavoro sarà una pila di quaderni, blocchi note, fogli di appunti e record e, se hai seguito i consigli sopra citati, un transcript ben organizzato di tutte le risposte degli intervistati.Questa trascrizione sarà la base su cui iniziare a muovere le energie per il prossimo task: la creazione dei profili delle buyer persona e la validazione statistica delle nostra ricerca sul campo.

Delle due fasi successive del lavoro per la costruzione dell Buyer Personas te ne parlerò nel prossimo articolo! Quindi mi raccomando, iscriviti alla nostra Newsletter per restare sempre aggiornato sulle ultime novità di Lacerba e non perdere la seconda parte dell’articolo sulle Buyer Personas!

I corsi che ti consigliamo

Se desideri approfondire alcune delle metodologie più moderne ed efficaci per scalare il tuo business ti consigliamo i seguenti corsi su Lacerba

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1 Luglio 2020 0 commenti
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Creare business

Il Web Design al servizio del Male (del Marketing)

by Luca Boudidat 26 Maggio 2020
by Luca Boudidat

Come progettare una Landing Page user-friendly, che rispecchi le esigenze del mercato, senza tradire la tua creatività.

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INDICE

  • La sfida di un nuovo prodotto
  • Ma quindi come si progetta nel pratico una Landing Page?
  • Fase 1. Porsi le domande giuste e fare un’attenta analisi di studio
  • Fase 2 progettazione e prototipo
  • Fase 3 revisione e sviluppo
  • Conclusioni
  • I corsi che ti consigliamo

Caro lettore, che tu sia un Web Designer, uno sviluppatore Front End o un Ux Designer , non potrai scappare dalle logiche imprenditoriali che il mercato ti impone. Il solo piacere di poter creare un prodotto puramente visivo ed estetico è lasciato agli artisti, poiché trascende dagli obiettivi di business della realtà lavorativa in cui sei immerso. Start up o azienda consolidata che sia, il tuo contributo sarà sempre condizionato da input esterni, andando a fondere il lato estetico a quello funzionale. (Se ti interessa la programmazione puoi leggere anche “Nel 2020 ha ancora senso la distinzione tra front end e back end” sempre sul nostro blog.)

Non me ne vogliano i miei amici markettari, la mia è una vera e propria provocazione, web designer e professionisti del marketing devono aiutarsi per arrivare ad un obiettivo comune. Le due sfere si intrecciano, influenzandosi a vicenda, e se da un lato Il web designer adatta le proprie skills e la propria creatività  al fine di raggiungere l’obiettivo di mercato prefissato, dall’altro il marketing deve tener conto di quella che è l’esperienza utente e dei limiti che lo sviluppatore può trovarsi davanti.

La sfida di un nuovo prodotto.

La realizzazione di un nuovo prodotto è sempre una sfida, su tanti aspetti differenti. A noi Web Developer, nello specifico, ci costringe ad uscire dai nostri pattern e a provare nuove strategie. Quando avrai terminato il lavoro non avrai semplicemente creato un prodotto del tutto nuovo, ma in ultima analisi sarai un programmatore migliore, grazie agli sforzi che avrai dovuto affrontare.

In questo articolo voglio raccontarti quelli che sono gli aspetti strategici che entrano in gioco quando dobbiamo realizzare una pagina di prodotto del tutto nuova, e per farlo userò l’esempio dell’Executive Master di Lacerba a cui ho lavorato. 

L’Executive Master ha segnato una pietra miliare nella storia di Lacerba e ha coinvolto gli sforzi di tutto il team. Con questo prodotto la nostra scuola faceva un salto di qualità in quanto si trattava di proporre al pubblico un percorso professionalizzante di lunga durata, certificato a livello universitario e con un prezzo del tutto differente da quello degli altri corsi presenti su Lacerba. Ci siamo quindi posti la sfida di presentare questo prodotto sotto una  nuova chiave, mostrando agli studenti i passi fatti in avanti, la nuova direzione presa, ma senza snaturare o perdere quella che è la nostra identità, che ci aveva distinto da sempre come piattaforma e-learning.

La posta in gioco era tanta e serviva un lavoro eccellente per sostenere il nuovo progetto che stava venendo alla luce.

web designer wanted

Ma quindi come si progetta nel pratico una Landing Page?

Sebbene si possa pensare al processo di creazione di una Landing Page come qualcosa di ciclico e standardizzato, nella realtà, anche se ci sono sicuramente tratti comuni a livello di impostazione, ogni flusso di lavoro sarà unico.

Perché questo?

Ogni Landing Page ha uno scopo preciso e definito che si riferisce esclusivamente al prodotto e/o servizio che si sta presentando, quindi obiettivi e messaggi da trasmettere saranno diversi fra loro.  C’è poi da aggiungere che i valori aziendali, l’identità del brand e la tipologia di comunicazione scelta sono elementi che andranno ad influenzare la tua pagina. Quando dicevo che un Front End developer deve sottostare alle logiche di mercato non intendevo che egli non abbia potere decisionale, e anzi, forse la sfida più bella è proprio questa: utilizzare la propria creatività per trovare il giusto equilibrio tra estetica e funzionalità. Creare una Landing Page è un gioco di equilibri: se ci si focalizza puramente sul lato estetico si rischia di perdere di vista quelli che sono i reali obiettivi per cui quella pagina è stata creata. Di contro, un lavoro troppo istituzionale e impostato, rischia invece di non avere sufficiente impatto visivo per il nostro utente ed essere facilmente dimenticabile.

Ma andiamo più nel pratico, ora vi racconterò quelli che secondo la mia esperienza sono i tre punti fondamentali da cui partire per creare la tua Landing page.

Fase 1. Porsi le domande giuste e fare un’attenta analisi di studio.

Prima ancora di poter entrare nel vivo del lavoro creativo è importante una fase di studio e analisi, da non fare soli, ma con tutti i membri del team coinvolti nella realizzazione del prodotto. 
Avere ben chiaro in mente quale sia l’obiettivo finale della nostra Landing Page è fondamentale per evitare di andare fuori strada.
Nel caso specifico che ti sto riportando, quello della Landing page dell’Executive Master, l’obiettivo primario era quello di fare Lead Generation, portando gli studenti a fare una pre-iscrizione ad nuovo percorso formativo. Una notevole differenza rispetto alle pagine dei corsi Lacerba, che sono invece delle sales page a pieno titolo. 

Bisognava dunque realizzare una Landing differente, unica come lo era il prodotto, ma che al contempo fosse in linea con lo stile e i valori della nostra scuola online. L’obiettivo era orientare lo studente, prima ancora di vendergli il Master e dargli la possibilità di comprendere se un percorso lungo e impegnativo come quello fosse adatto per i suoi fini di formazione. Risultava dunque fondamentale essere estremamente chiari e capaci di mettere in rilievo tutti i punti di forza di un percorso del genere, come la certificazione universitaria, le ore di tutoring e quant’altro.

In generale ogni processo di analisi iniziale è unico, ma ci sono tre domande che non puoi evitare di porti prima di realizzare una Landing Page:
– Qual è il mio obiettivo, che cosa voglio comunicare davvero?
– Chi è il mio target, a chi si rivolge il mio messaggio?
– Qual è lo stile, design, che renderà più efficace quello specifico messaggio?

Fase 2 progettazione e prototipo

Questa è la fase più creativa e stimolante, ma attenzione a non partire in quarta! 

Prima di scrivere anche solo una riga di codice è fondamentale disegnare dei prototipi di come la pagina si presenterà e funzionerà. Io personalmente utilizzo Sketch, un’app molto intuitiva e semplice da usare, ma ce ne sono tantissime e anche carta e penna vanno benissimo per questa fase. Disegnare la nostra Landing Page ci farà risparmiare tante ore in fase di sviluppo e fidatevi è fondamentale! Lo dico perché anche io, quando ero più inesperto, partivo gasato a scrivere codice con solo un’idea mentale di quello che dovevo andare a realizzare e questo faceva sì che dovessi poi tornare molte volte sugli stessi elementi, allungando notevolmente i tempi di lavoro. 

web design applicato al marketing
La mi schermata di lavoro su Sketch.

Per la landing dell’Executive Master abbiamo studiato i maggiori competitor sul mercato ed abbiamo compreso come tutti avessero delle caratteristiche comuni: un aspetto molto istituzionale con un approccio descrittivo molto testuale, poco in linea con lo stile “friendly” e giovane della nostra piattaforma.  Lavorando in una startup io potevo svecchiare questi criteri dell’insegnamento, senza però lasciare nulla al caso: ho potuto “giocare” sugli elementi grafici, sui colori, su tutti i minimi dettagli con cui l’utente interagisce all’interno della pagina. Tutto questo rispondendo alle domande che ci siamo posti nella fase iniziale e dando valore ai nostri punti di forza.
È importante in questa fase condividere il proprio lavoro con il resto del team e ricevere dei feedback, positivi o negativi, perché lavorare completamente in autonomia può portare ad un auto compiacimento del proprio lavoro senza avere un vero sguardo critico.

Ogni Landing page che andrete a creare non sarà mai la sua versione definitiva, faccio fatica oggi a contare quante volte ci siamo fermati e abbiamo ripensato alcuni aspetti della pagina, andando a modificare quelle parti che risultavano bloccanti o frenanti rispetto all’obiettivo finale. Questo è un aspetto che vi troverete ad affrontare nel tempo, anche dopo aver pubblicato la vostra pagina e di cui te ne parlerò approfonditamente in un prossimo articolo.

Fase 3 revisione e sviluppo

Ultima ma non meno importante è la fase di revisione e sviluppo; una volta approvato il design e gli elementi che andranno a caratterizzare la pagina, è appropriato affidare i copy della landing al reparto marketing, poiché avendo fatto un’attenta analisi sui messaggi da comunicare e conoscendo i nostri punti di forza sapranno esattamente cosa e come comunicare.

Una volta ottenuto il testo e gli sketch della pagina abbiamo tutti gli elementi per assemblare il nostro lavoro ed iniziare e fare le ultime modifiche e ottimizzazioni.

Ma quindi la mia landing page è finita?

Assolutamente no, durante lo sviluppo vero e proprio della Landing Page ti troverai di fronte a molteplici problematiche che semplicemente in precedenza non ti eri posto o che magari davi per scontate ed è in questa fase che si mette in moto la tua capacità di risolvere problemi da sviluppatore; saper conciliare le richieste con le proprie capacità e cercare di tirare fuori qualcosa di entusiasmante, che sia appagante per l’utente finale e che funzioni.
La landing page dell’Executive Master in Digital Marketing Strategist che attualmente potete trovare online su Lacerba è il risultato di quasi 4 o 5 grandi modifiche avvenute nell’arco di due anni.

Conclusioni

Lo scopo di questo articolo non era quello di darvi una guida step by step di come andrebbe fatta una landing page, per quello abbiamo ore di corsi su Lacerba che saranno sicuramente più efficaci di questa chiacchierata. Il mio obiettivo era quello di mostrarti la fase precedente alla creazione di una Landing Page: quella strategica, fatta di analisi, confronto anche col marketing e scelte oculate. 

Saper programmare è un gioco di problem solving continuo, utile tanto nel suo intento finale di realizzare un prodotto, quanto in quello di darvi degli stimoli nuovi per pensare a soluzioni diverse. Affrontare i propri limiti nella programmazione ti aiuta ad aumentare le tue abilità, ampliando la tua visione e rendendo, infine, il lavoro più interessante e competitivo.  

I corsi che ti consigliamo

Se ti incuriosisce la possibilità di canalizzare la tua creatività attraverso il codice ti consigliamo alcuni dei nostri corsi di programmazione più studiati su Lacerba: 

  • (corso base) Crea una Landing Page – gratuito
  • Landing Page & Ux Masterclass (accedi con il 20% di sconto attraverso questo link)
  • Diventa programmatore Front End (accedi con il 20% di sconto attraverso questo link)

26 Maggio 2020 0 commenti
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Creare business

L’hamburger che ha cambiato il mondo

by Francesca Clivio 22 Maggio 2020
by Francesca Clivio

Alcune lezioni di imprenditoria che si possono apprendere dal film di culto “The Founder”

Nella vita tutto scorre velocemente senza che noi ce ne accorgiamo, questo cambiamento deve essere interpretato e gestito in modo da poterne trarre il massimo vantaggio. Ciò che abbiamo e come siamo non è nient’altro che il frutto di un lungo viaggio che abbiamo percorso fino a qui, una lenta evoluzione che ha visto modificare i nostri modi di fare, di pensare, di porci verso noi stessi e verso gli altri. Tale progresso è la sintesi di differenti lezioni che possiamo trarre da tutto ciò che ci circonda e non dobbiamo stupirci se alcuni capolavori cinematografici rimangono impressi nella nostra mente aiutandoci a metabolizzare concetti complessi in maniera semplice o se rappresentano per noi inestimabile fonte di ispirazione. 

Alla luce di questa premessa ho deciso di rispolverare “The Founder” (2016). Come probabilmente la maggior parte di voi saprà è la pellicola diretta da Jhon Lee Hancock che narra le vicende di carattere biografico legate alla nascita del colosso dei fast food: Mc Donald’s. La storia orbita attorno alla figura discussa di Ray Kroc, interpretato da Michael Keaton. 

Siamo nel 1954, Ray è un venditore porta a porta di cinquant’anni e si trova in California per questioni di lavoro quando viene a conoscenza del fast food dei fratelli Mac e Dick McDonald. I tre personaggi discutono sul modo di lavorare nel loro settore, ed è proprio in questo momento di scambio che Ray resta folgorato dall’esperienza imprenditoriale dei due fratelli. In seguito tenta di convincerli a fare una partnership professionale imbattendosi inizialmente in un loro rifiuto, ma in un momento successivo riesce, grazie alla sua tenacia, ad instaurare una collaborazione coi due personaggi. Questo è l’inizio di una burrascosa relazione di lavoro tra Ray e i fratelli McDonald che porterà alla nascita di quell’impero da miliardi di dollari che è oggi McDonald’s.

Ma cosa si cela realmente dietro questa storia? Vediamo insieme alcuni dei numerosi insegnamenti che possiamo trarre dall’esperienza di Ray Kroc e i fratelli McDonald’s.

1) L’idea non è tutto

l'idea non è tutto

Come il film ci dimostra l’esecuzione di un’idea è molto più importante dell’idea stessa: Ray Kroc non è il vero fautore dell’essenza profonda di McDonald’s, sono stati i due fratelli con il loro talento ad averla ideata in quanto padri di un sistema produttivo che ha rivoluzionato la ristorazione. Ciò che Ray Kroc possedeva, al contrario, era una visione legata alla volontà di “scalare” il fast food. E’ stato il focus totalmente orientato sull’efficientamento di tempi/risorse ad aver fatto perdere d’occhio ai fratelli quello che era il vero potenziale del business: esportare il modello McDonald’s attraverso l’affiliazione commerciale. È chiaro che senza idee brillanti ed innovative non può nascere alcun progetto rivoluzionario, ma conta ancor di più avere una Vision più grande, capace di trasformare una grande idea in un’idea rivoluzionaria. Dunque nonostante Ray non avesse inventato la catena di montaggio per la produzione di hamburger è stato proprio il suo pensare su grande scala ad aver reso McDonald’s un colosso.

2) L’importanza dello Storytelling

l'importanza dello storytelling

Ray Kroc girando per le strade dell’America si accorse che nel panorama statunitense due elementi erano ricorrenti: i crocifissi e le bandiere a stelle e strisce. Pertanto decise di fare del Mcdonald’s la seconda chiesa americana, che non è aperta solo la domenica (come lui stesso afferma). Inoltre, Kroc ebbe il grande intuito di comprendere che il nome McDonald’s non andava toccato, perché fortemente americano. Un nome che significa America, un brand che associa la propria immagine al concetto felice di famiglia, condivisione, gioia e prosperità. Nonostante fossimo negli anni ’60, il protagonista aveva già intuito l’importanza dello storytelling per il successo di una grande impresa. Il marketing post-fordista di Ray è una delle novità brillantemente messa a fuoco dal film. Alcuni esempi potrebbero essere la già citata importanza che Ray riconosce al nome (sa che McDonald’s funzionerà meglio del suo cognome nella comunicazione e capacità di trasmettere i valori del fast food) o l’estrema cura e attenzione con cui ogni punto vendita del marchio viene aperto. Ed è proprio il binomio composto da catena di montaggio nella produzione del cibo fast food e spregiudicatezza comunicativa decisamente non fordista, che rese il prodotto vincente. 

3) L’Importanza dell’Innovazione

È risaputo che il cambiamento costa fatica e normalmente può generare paura. Attenzione però, anche rimanere chiusi nella nostra “comfort zone” ritenendo che il “nuovo” sia una minaccia e non un’opportunità può essere altamente pericoloso: questo è ciò che è accaduto ai fratelli McDonald, che consideravano Ray Kroc e le sue idee come delle minacce per la propria impresa. L’innovazione passa inevitabilmente attraverso la rottura dei codici, fenomeno che si evidenza nel film con la rottura tra Ray e i fratelli McDonald.

E’ quando il protagonista acquista i terreni sui quali sarebbero sorti i vari punti vendita della catena che assistiamo alla vera e propria svolta: in assenza di questa virata netta l’impresa sarebbe andata verso il fallimento per via degli elevati costi fissi. Si deve riconoscere che se Ray Kroc fosse rimasto legato all’idea iniziale di franchise dei fratelli McDonald’s, questo modello non avrebbe avuto il successo che conosciamo oggi. L’insegnamento più importante che possiamo trarre è quello di essere sempre pronti a mutare e cambiare la nostra idea in funzione dei continui cambiamenti del mercato e per la salvaguardia della nostra impresa, l’innovazione non deve essere nostra nemica bensì una grande alleata.

4) L’ ottimizzazione dei processi

ottimizzare i processi

Una delle scene più affascinanti, almeno per me, è quella in cui i fratelli McDonald ricordano le loro origini descrivendo ciò che li ha portati  dal generico drive in al loro ristorante: la focalizzazione sul «core business». I due avevano capito che focalizzandosi solo su tre semplici prodotti (hamburger, patatine e coca cola) avrebbero potuto massimizzare i ricavi e dimezzare i tempi di produzione. La focalizzazione però non basta, sono indispensabili anche l’organizzazione e l’efficienza in un’impresa che si rispetti. Questa lezione sono i due fratelli a insegnarcela: infatti l’emblema della trasposizione del taylorismo nella ristorazione si trova nella scena in cui spiegano l’organizzazione interna della cucina e il modo in cui hanno ottimizzato la produzione di hamburger: l’efficienza dei tempi; la sequenzialità delle operazioni; la standardizzazione. È indubbio che la loro sia stata un ribaltamento della cucina di ristorante che si trasforma in un vero e proprio processo produttivo, ottenendo come risultato una sinfonia di efficienza senza spreco di movimenti. Dietro a questo incredibile risultato si cela un grande studio: i due fratelli impiegarono molto tempo insieme ai cuochi, per provare i loro movimenti su uno spazio disegnato a terra, al fine di progettare la cucina perfetta, che consentisse di muoversi nel modo più produttivo possibile. 

5) La perseveranza come spirito guida

Una delle lezioni più importanti che “The Founder” mi ha insegnato è che c’è una qualità imprescindibile dell’imprenditore di successo: la perseveranza. Nel corso del film è lo stesso Ray a ripeterlo più volte, quasi in maniera ossessiva: nella vita non contano il talento, il genio, l’istruzione. Conta la perseveranza. Conta la tenacia, la determinazione. La perseveranza per lui è quasi uno spirito guida, ed è proprio grazie ad essa che Ray non desiste, non si abbatte di fronte all’insuccesso, ma si rialza dopo ogni fallimento e riprova fin a quando riesce nel suo obiettivo. Non a caso “The Founder” può considerarsi il simbolo di una perseveranza onnipotente, vera guida per il suo protagonista. La convinzione, che molti hanno, riguardo il raggiungimento del successo grazie ad un’intuizione geniale, un lampo d’ispirazione che apre la strada ad una via in discesa è una visione illusoria della realtà. Non dobbiamo dimenticarci che i risultati, nella maggior parte dei casi, sono frutto del sacrificio. Ray è l’esempio lampante che non esiste un tempo perfetto o un’età stabilita per fare successo, lui non era un giovanotto ed aveva già cambiato numerosi impieghi, eppure grazie alla sua perseveranza ha rivoluzionato la sua vita. Ed è lui stesso ad insegnarcelo già nelle prime battute del film quando afferma che “Come fa uno di 52 anni, attempato, che vende frullatori per milkshake, a diventare il fondatore di un impero del fast food con 1600 ristoranti e un fatturato di 700 milioni di dollari? Una sola parola: perseveranza.”

Queste sono le lezioni che ho tratto dalla visione di “The Founder”, sei d’accordo con i punti che ho evidenziato o credi ci sia altro da aggiungere? Se ti va fammi sapere la tua opinione con un commento. 

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